Rabbia rossa,
si vede da lontano.
È spia luminosa, sirena rumorosa; avverte quando qualcosa urta o incombe: un ostacolo, un’invasione, un tradimento. Una costrizione, un’ingiustizia, una sottrazione.
È scintilla, che prepara all’azione; rende pronti a rispondere, attaccare, difendere.
Ha mille gradazioni e intensità: da prurito sulla pelle, a vampata sulla faccia, da fuoco nella pancia, a tempesta in mezzo al mare.
È vulcano, che ribolle dentro o sputa fuori; è razzo che follemente accelera, da niente a tutto in un batter d’ali.
Non mi piace… quando sorda non ascolta altro; quando cieca non si guarda attorno.
Non mi piace, quando è forte più di tutto; distrugge ogni cosa e resta lì, da sola, in mezzo al vuoto che ha creato.
Non mi piace, quando ha parole che son fruste, urla che son trapani, mani che son ruspe.
Non mi piace, quando è boccone sullo stomaco, non va né su né giù, non trova uscita, voce o gesto.
Non mi piace, quando svela i miei capricci, mi fa pestare i piedi; quando non va bene niente, se non come dico e voglio io.
Non mi piace, quando mi getta in faccia la realtà, nuda e cruda, facendomi scendere dalla dolce giostra dei miei sogni.
Non mi piace, quando si stratifica piano, fiocco dopo fiocco, lasciando enormi cumuli, freddi come la neve, insidiosi come il ghiaccio.
Mi piace… quando è rombo di motore, che fa scattare, arrivare, afferrare.
Mi piace, quando ferma chi vuole calpestare. Quante volte, altrimenti, mi avrebbero schiacciato…
Mi piace… quando è scossa, che smuove ciò che è inerte; lampo, che innerva ciò che è floscio.
Mi piace, quando mi rimette al centro, mi ridà vigore dopo il gelido tocco dell’impotenza.
Mi piace, quando non mi lascia muto, a subire qualcosa che fa male: un pungiglione doloroso, una posa scomoda, un incastro ingiusto.
Mi piace, quando ha lo stesso colore caldo dell’amore. Si accende per qualcosa che sta cuore, che afferra nelle viscere, che importa nel profondo.
La rabbia è una reazione affettiva di base, in sé né buona né cattiva. Aiuta a tirare fuori gli artigli per fronteggiare una minaccia che avanza. Di solito è rumorosa, deflagra, si fa sentire; altre volte mette il silenziatore, rimane incapsulata in un guscio di adeguata formalità.
In ogni caso converrebbe intercettare la sua voce, “darle udienza” e ascoltare cos’ha da raccontare. Il nostro modo di arrabbiarci può infatti far da bussola, fornire indizi per capire meglio come siamo fatti. L’interruttore della rabbia scatta quando un punto prezioso, vitale o sensibile è sotto tiro e rischia grosso; reazioni tiepide di solito coprono interessi blandi, che facilmente scivolano via.
Quindi la rabbia ci mostra innanzitutto ciò che per noi ha valore ed importanza, ciò che, se viene toccato, sanguina a fiotti, come un’amputazione. Ci parla degli scopi che ci guidano, dei bisogni che ci muovono, dei tasti che ci scombinano. Ci informa sulle nostre allergie e intolleranze, su ciò che rigidamente respingiamo, sulla nostra reattività o remissività, grinta o fiacchezza.
Indica i nostri punti più delicati, quelli a cui non vogliamo che nessuno si avvicini: come cani da guardia iniziamo a ringhiare quando fiutiamo passi nei paraggi.
Per questo è interessante chiederci: davanti a cosa ci arrabbiamo? Qual è la leva che fa scattare il collerico meccanismo? Un sopruso, un torto, una provocazione? Una privazione, un abbandono, un’incomprensione? O una scomoda verità che respingiamo con ardore? E, ancora, cosa viviamo come tale? Ciò che per me rappresenta uno sgarro non è detto che lo sia per qualcun altro; ognuno ha zone interne più sensibili e scoperte, da proteggere a costo di sferrare attacchi. Con le unghie e con i denti.
Rabbie forti come tempeste, furie frequenti e devastanti, di solito nascondono antiche ferite, punti fragili, sorvegliati da irose sentinelle, pronte al contrattacco. Se le ferite vengono toccate, o anche solo minacciate da lontano, si alza un urlo profondo e cavernoso, un boato pieno di rabbia e di dolore. Ricordiamo quando Achille, privato della sua schiava Briseide, sfidato nell’onore dal tracotante re, si lascia andare ad un’intensa e caparbia collera. L’offesa ricevuta da Agamennone va a risvegliare antichi dolori. Un’infanzia segnata da precoci abbandoni, da grandi aspettative, da pochi abbracci.
È così che la rabbia va accolta, ascoltata e capita; quando incontra un “buon contenitore”, può finalmente ricevere significato. Può smettere di vorticare caoticamente e trovare forma, direzione ed obiettivo. Può passare da scheggia rozza e bruta, a spinta vitale che sostiene conquiste e conoscenza.