In questo scritto si passa dal sifone di un water ai colori dell’arcobaleno che vediamo quando un raggio di sole attraversa ninnoli di cristallo. Vi leggerete dell’immensa vastità della natura e degli occhi grigio blu dei lattanti.
Si parlerà, quindi, di MERAVIGLIA. E cioè di un sentimento vivo e improvviso, che risponde al nuovo, all’inaspettato.
Il sifone del water e la meraviglia
Ero alle medie quando il professore di tecnica ci spiegò come funziona il sifone del water. La sua forma a U ha la funzione di creare un tappo d’acqua, che impedisce il passaggio dei cattivi odori. Ho ancora addosso il ricordo del senso di stupore che provai quel giorno: com’era possibile avere avuto un’idea così semplice e pure così geniale?
Stato d’animo raro e prezioso, la meraviglia incurva e rialza le nostre sopracciglia, spalanca i nostri occhi, ci dischiude la bocca. È incanto e sorpresa.
Spesso, più che davanti al sifone di un water, la meraviglia scaturisce dal contatto con la natura, quando veniamo invasi dalla consapevolezza dell’immensamente più vasto di noi.
Un’emozione destabilizzante e benefica
La meraviglia destabilizza, disorienta, stordisce: misteriosa e potente, si traduce a volte nella riverenza davanti all’imperscrutabile. Rispettosi, quasi timorosi, usciamo da noi stessi e ci apriamo al sorprendente.
E se siamo sufficientemente solidi, se riusciamo a non escludere dalla mente ciò che potrebbe ribaltare la nostra visione del mondo, facciamo nostro questo fuori, lo tiriamo dentro.
La meraviglia, infatti, ci obbliga a ristrutturare i nostri schemi mentali. Ci permette di farlo, direi; ci sollecita a farlo. A stabilire un nesso tra ciò che ci sorprende e quanto già conoscevamo. Ci spinge a trovare nuovi significati, ad adattarci a scenari non noti. Lo fa, a volte, a un livello molto profondo. Come quando, in un attimo, butta all’aria le carte ben disposte delle nostre priorità e vi porta un nuovo ordine; quando ribalta oppure illumina la gerarchia dei nostri valori. Il tempo si dilata, tutto ha più senso.
Maestri di meraviglia
Gli esperti di meraviglia sono certamente i bambini: esistono da così poco tempo, che quasi tutto per loro è nuovo. Non sono assuefatti a niente: tutto è ancora da scoprire, da esplorare, da conoscere. Hanno lo stupore dentro agli occhi; attoniti, vivono nella meraviglia.E come i bambini, maestri di meraviglia sono a volte i poeti. Il fanciullino di Pascoli, con cui i poeti hanno confidenza, è “quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle: che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dei.” “Egli ci fa perdere il tempo, quando noi andiamo per i fatti nostri, perché vuol vedere la cinciallegra che canta, ora vuol cogliere il fiore che odora, ora vuol dire la selce che riluce… Egli è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente.”
Esercitare l’arte del meravigliarsi
Non mi sembra che la meraviglia affolli le vite degli adulti di quest’epoca e di questa parte del mondo. Si è spesso un po’ distratti, frettolosi. Sarebbe utile allora fare esercizio, rispolverare le competenze che tutti abbiamo (perché tutti siamo stati lattanti) nell’arte del meravigliarsi.
Si fa così… Bisogna concentrarsi, come fa il bambino dell’albo illustrato “Se vuoi vedere una balena”, di Babalibri. Stare in silenzio, disporsi a incontrare l’ignoto.
L’apertura della nostra mente a ciò che esiste fuori di noi è un suo meccanismo naturale. Dobbiamo “solo” imparare a mettere da parte qualcuna delle nostre chiare e ordinate convinzioni ed essere disposti a metterle in dubbio. La nostra vista sarà sempre meno offuscata o lo sarà almeno per un importantissimo istante, il nostro ascolto diventerà più ricettivo. L’anima tornerà a commuoversi.
Avvertiremo, scandendo la parola MIRABILIA (le cose meravigliose), la portata potente della sorpresa.
Avere l’arcobaleno negli occhi
La fortuna è che possiamo meravigliarci ogni giorno, senza dover organizzare cose “meravigliose”. La meraviglia, infatti, non è esclusiva delle giornate “ufficialmente memorabili” della nostra vita. Questo stato di grazia può nascondersi anche tra le pieghe ordinarie dell’esistenza. Perché non nasce dall’oggetto: nasce dallo sguardo, dal nostro modo di ascoltare, di avvicinarci all’altro. Qualsiasi altro sia. Anche nel caso in cui quest’altro siamo noi: è un incanto, meravigliarsi di sé.
Se ci alleneremo su noi stessi, se coltiveremo quella predisposizione alla meraviglia, ci sembrerà poi strano che gli altri non trovino nulla d’insolito e prezioso in fenomeni che riempiono noi di stupore.
La mia nonna materna aveva gli occhi chiarissimi. Ricordo il delicato candore infantile che le illuminava tutto il viso, ogni qualvolta che la luce del sole filtrava attraverso i ninnoli di cristallo che teneva sul tavolo, creando magiche tavolozze di colore.