Se vedo uno scrapbook mi viene da sorridere.
Penso alle mani che hanno con cura ritagliato, selezionato, incollato pezzi di carta, immagini o foto e scritto parole che danno significato.
Penso alla creatività e all’originalità.
Penso allo spazio che possono trovare emozioni e pensieri su di sé, testimonianze di esperienze che scaldano e danno senso all’esistenza. È uno spazio che può anche proteggere quelle tracce preziose da attacchi rabbiosi, dal buio della tristezza, dal risucchio dell’angoscia.
Lo scrapbook è uno dei modi con cui raccogliere le proprie esperienze. È possibile farlo anche sottolineando frasi che ci hanno toccato in un libro, trascrivendo su un quadernino pensieri o poesie, raccogliendo canzoni o musiche che possiamo ascoltare, creando album fotografici…
Ognuno può trovare lo strumento più vicino a sé per poter avere concretamente delle tracce di situazioni in cui si è stati bene, sono state riconosciute proprie qualità, hanno trovato spazio parti vitali. Queste tracce diventano fondamentali nei momenti in cui si incontra la tempesta o ci si ritrova nel deserto: sono i nostri punti fermi, a cui aggrapparci per aver fiducia nel fatto che la tempesta può finire e per trovare un piccolo villaggio ai margini del deserto. Così possiamo riprendere contatto con altri aspetti della realtà e del mondo interno che sono stati sopraffatti. È una sfida poter dare alle esperienze “buone” un contenitore esterno, concreto, che supporti quello interno ancora troppo fragile e incerto o celato dalla nebbia del dolore.
Penso che, nei momenti più tormentati, ricordare che quelle sono state esperienze da noi sentite e trascritte le faccia sembrare più nostre e vere e ci consenta di poter credere che, se ci sono state quella volta, potranno esserci ancora.