Una storia
Una volta c’erano una mamma, un papà e la loro bambina, Chiccola.
Avrebbero voluto essere molto felici, insieme, ma spesso succedeva un fatto brutto e strano.
Quando la mamma sgridava Chiccola, che non aveva mai voglia di fare i compiti, Chiccola si trasformava in un palazzo, in un grattacielo blindato!
Si irrigidiva, puntava i piedi a terra, stringeva i pugni e fissava la mamma con occhi duri come il cemento armato.
E quando Chiccola diventava un palazzo, la mamma proprio non lo sopportava. Allora si tramutava in una strega altissima e nera, con braccia simili ai rami della quercia e con gli occhi di fuoco!
E sovrastava Chiccola, con la sua rabbia gigante.
E quando il papà vedeva Chiccola dura come il cemento armato, con tutte le finestre chiuse e blindate, come una caserma piena di armi, e quando vedeva sua moglie altissima e terribile, come una strega con il cappello spaventoso, non stava più in sé.
Diventava un orco furibondo dalla voce di tuono.
E sovrastava sua moglie e la loro bambina.
Le finestre blindate del palazzo di Chiccola non cedevano. Anzi, Chiccola si irrigidiva ancora di più e con lo sguardo, fermo come la pietra, sembrava sfidare la strega e l’orco.
Ogni volta era così: ogni volta si infiammavano e si indurivano.
Finché la stanchezza bucava, come palloncini, i genitori di Chiccola.
Molto lentamente, allora, lei lasciava andare le proprie pareti e tornava bambina.
Finché un giorno, mentre la strega gridava contro il palazzo armato che, indistruttibile, la provocava con quel silenzio immobile, accadde qualcosa di nuovo: una finestra era rimasta socchiusa e la strega se n’era accorta. Lacrime gonfie e lente scendevano sulla guancia di Chiccola.
Venivano giù, sulla sua pelle ferma.
Quando l’orco, furibondo, che spaccava l’aria con la voce, fu quasi vicino a loro, la mamma strega gli fece segno di stare in silenzio e gli indicò, con le dita e con lo sguardo, la finestra bagnata della bambina-palazzo.
Riflessioni
Come potrebbe continuare questa storia? Molte volte prosegue bene…
A volte indossiamo una corazza; lo facciamo per proteggerci da ciò che avvertiamo come ostile e pericoloso, e quindi è utile. Se però la corazza si fossilizza, se non riusciamo proprio a muoverci sotto al suo peso, se non siamo più in grado di far trapelare qualcosa di delicato e di nostro da una sua finestra, allora la corazza diventa un problema. Smette di essere un’utile difesa, diventa una prigione.
Far sgorgare quella lacrima di fronte a qualcuno capace di coglierla è un gesto enorme. È il frutto di un inestimabile lavoro interno; a volte è anche l’esito di un lavoro che qualcun altro fa su di sé; spesso, per fortuna, è un nuovo inizio, più dolce.