Una volta un ragazzo di nome Tonino andò a scuola che non sapeva la lezione ed era molto preoccupato al pensiero che il maestro lo interrogasse. “Ah, – diceva tra sé, – se potessi diventare invisibile…”. (“Tonino l’invisibile”, Gianni Rodari)
Rendersi invisibili. Saltare l’interrogazione, schivare obblighi e pressioni, sottrarsi al “dover essere”, al dover dimostrare. Come sotto un ombrello, restare asciutti e puliti, nonostante la pioggia, che attorno cade forte.
Scomparire… evitare sguardi pieni di richieste, toni pieni di aspettative. Una tempesta di giudizi e valutazioni, con la paura di non essere all’altezza.
Volatilizzarsi… muoversi liberamente, aggirare il controllo, non chiedere il permesso. Girare, guardare, prendere, gustare, senza che nessuno se ne accorga, senza che nessuno badi a noi.
Mimetizzarsi… e da una posizione discreta e defilata osservare il mondo, restando inosservati. Quanti dettagli e sfumature si colgono da questa prospettiva. Un luogo sgravato dall’affanno di mostrarsi, liberato dall’angoscia di piacere.
…Per poi di nuovo riapparire. Essere visti, percepiti, riconosciuti. Ricevere sguardi che vivificano, fanno sentire più reali, donano forma, forniscono energia. Lo sguardo fa da specchio, conferma il nostro esistere, sostanzia il nostro essere.
Quanta solitudine si accompagna all’invisibilità prolungata: la vita ci passa attraverso, nessuno si interessa, nessuno chiede “come stai?”.
“Ma sono qui, sono qui! Mamma, papà!” gridava Tonino. Ma essi non udivano la sua voce. Tonino ormai piangeva, ma a che servono le lacrime se nessuno può vederle?
“Non voglio più essere invisibile”, si lamentava Tonino col cuore in pezzi. “Voglio che mio padre mi veda, che mia madre mi sgridi, che il maestro mi interroghi!” (“Tonino l’invisibile”, Gianni Rodari)
Che bella la naturale oscillazione tra il salire sopra il palco, mettersi nel centro, per dire “io ci sono” e il tornare sullo sfondo, per respirare un po’, lasciandosi dimenticare.
Ma se uno dei due poli diventa un assoluto, una calamita che attrae e non lascia andare più, questo morbido oscillare viene impedito, e si resta intrappolati.
La vergogna che nasconde. C’è il dramma di chi è costretto all’invisibilità perenne, barricato nel rarefatto nascondiglio della sua vergogna. Da lì non osa mai sbucare, per paura che uno sguardo lo intercetti e smascheri tutta la miseria che si porta addosso. Si sente insufficiente, sbagliato, striminzito; una piccola briciola rinsecchita in mezzo a tante pagnotte gonfie e dorate. Nasconde in sé un segreto bisogno di essere guardato, inondato da una piena di amore e approvazione, per potersi finalmente “reidratare”, rimpolpare, prender vita. “Ma chi mai potrà apprezzare la mia pochezza?” Un fallimento sarebbe catastrofico, un’umiliazione schiacciante che mortifica per l’eternità. Meglio non provarci e ripiegarsi nella propria silenziosa invisibilità.
Il bisogno di esibirsi. La sponda opposta è invece popolata da chi vive in vetrina, costantemente esposto per attirare sguardi, con cui sentirsi esistere. Schiavo di consensi e approvazione, condannato sempre a dire “eccomi qua”, per non sbiadire e perdere sostanza, sgonfiarsi fino a non sentirsi più. Va alla ricerca di riscontri e gradimento: applausi, sorrisi, acclamazioni, o i più attuali “pollici all’insù”: un’autostima che si misura in like. Il Cogito cartesiano rivisitato e distorto: “Piaccio, quindi sono”, guardatemi, per rendermi vivo.
Gli sguardi, come riflettori, illuminano e rendono splendenti, ma appena si spostano o si abbassano fanno precipitare nelle tenebre del non esistere: dubbi, domande ed incertezze prendono il posto della luce; manca un lumino interno che ricordi chi si è.
Nascondersi e mostrarsi, due poli contrapposti che parlano di fragilità che si assomigliano: un Sé poroso e friabile cerca rifugio per non frantumarsi o si esibisce per avere compattezza.
L’andirivieni tra i due estremi consente invece di respirare a fondo: si inspira e si espira, ci si mostra e ci si cela; un’altalena di presenza e assenza, di aggiunta e sottrazione, di affermazione e silenzio. Svanisco, per poi tornare ad esserci.