In “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, Luis Sepulveda narra di Kengah, una gabbiana con le ali appesantite dal petrolio, che nel suo ultimo volo atterra su una terrazza, ad Amburgo. Lì incontra Zorba, un grosso gatto nero, a cui affida ciò che di più caro possiede: il suo uovo. Prima di morire la gabbiana strappa al gatto tre importanti promesse…
Cosa chiede Kengah a Zorba prima di donargli il suo uovo? La gabbiana, con le sue ultime parole, sembra suggerirci come accompagnare qualcuno nella crescita: un bambino che diventa grande, un adolescente che sta cambiando forma, un adulto che ha smarrito i fili che tenevano il suo tutto. Ci lascia qualche prezioso pensiero su come stare accanto a chi è in cammino, e giorno dopo giorno, da embrione si fa persona.
Proviamo ad ascoltarla…
“Promettimi che non mangerai l’uovo”.
La prima condizione che Kengah pone è una rinuncia. Sa che il gatto è un cacciatore, ha un istinto predatorio, e se non lo tiene a bada l’uovo non sarà mai pulcino e il pulcino non sarà mai gabbiano. “Con un uovo si possono fare molte cose, una frittata, per esempio”. A questo pensa il gatto, non certo a covare con pazienza. Per mantenere la parola data, Zorba dovrà tenersi a freno, non manifestare la sua intera essenza. Dovrà farsi un po’ da parte, per mettere al centro l’uovo, con la vita che contiene.
Per stare accanto a chi si sta formando, bisogna contenere le proprie parti più ingombranti, perché non coprano e non soffochino l’altro; provare ad essere presenza che fa spazio e vicinanza che non divora.
“Promettimi che ne avrai cura finché sarà nato il piccolo”.
Con la seconda promessa Kengah parla dello “stare accanto”: esserci, con attenzione e delicatezza, per proteggere senza rompere, per toccare senza schiacciare. Prendersi cura, accompagnare qualcuno che da solo ancora non sa pensare a sé; intuire i suoi bisogni e adoperarsi per soddisfarli: nutrimento, calore, riparo, protezione, vicinanza.
Zorba starà lì, accanto all’uovo per giorni, in uno sforzo che gli pare inutile, che non riesce a comprendere. L’uovo resta immobile, calcareo, apparentemente sempre uguale a se stesso. Ma poi il pulcino rompe il guscio, lo guarda, lo chiama: “Mamma…”. Ora andrà nutrito, protetto, consolato; gli va dato un nome, e non uno qualsiasi. Deve essere cosa sua, parlare della storia che insieme stanno costruendo. Ancora una volta Zorba dovrà mettere se stesso un po’ in secondo piano, ricordarsi del piccolo, non più solo di sé.
“E promettimi che gli insegnerai a volare”.
Ecco l’ultima richiesta, la più bizzarra da formulare, la più difficile da mantenere. Eppure Zorba promette e, da gatto, cercherà di insegnare il volo a quel piccolo di uccello. Ma un gatto sa miagolare, saltare, arrampicarsi, fare le fusa, graffiare, poltrire. È capace di essere gatto e sarebbe bravissimo ad insegnare a diventarlo. Con le sue spiegazioni, ma soprattutto col suo esempio. “Ti mostro come si fa, provaci anche tu. Questo è il modo, così devi fare, se vuoi essere simile a me”. Ma la gabbianella non deve essere gatto agile che salta, ma uccello di mare che vola.
“Sei una gabbiana […]. Ti vogliamo tutti bene, Fortunata. E ti vogliamo bene perché sei una gabbiana, una bella gabbiana. […] Ci lusinga che tu voglia essere come noi, ma sei diversa e ci piace che tu sia diversa […], ti vogliamo gabbiana”.
Zorba ancora una volta dovrà tenere a freno se stesso. Il suo ego, le sue aspettative, i suoi modelli, la sua esperienza. Non dovrà proporsi e mostrarsi troppo, per far sì che la gabbianella voglia diventare se stessa e non una difettosa imitazione di un felino.
Genitori, educatori, insegnanti, terapeuti, si trovano quotidianamente nei difficili panni di Zorba, ad affiancare cuccioli (e non solo) nel loro cammino di crescita. Sarebbe così semplice se fossimo tutti “della stessa specie” … basterebbe mostrare com’è giusto essere, a chi si deve assomigliare, e attendere che l’altro segua orme già tracciate. Ma Kengah ci ricorda che non è il “maestro” a dover stare al centro, con i suoi “saper fare” e i suoi “dover essere”: la sua “natura felina” potrebbe rivelarsi poco adatta a chi gatto invece non è. Meglio spostarsi sullo sfondo, come un’indispensabile presenza non protagonista, che lascia spazio all’altro, così che possa essere. Scordarsi per un attimo credenze e convinzioni, abbandonare riferimenti e modelli accreditati. Fermarsi ed osservare il proprio “piccolo”, capire chi lui sia, a quale specie appartenga.
Non chiediamo ad un gabbiano di arrampicarsi svelto, sarà sempre goffo, sgraziato, deludente. I suoi artigli incapaci di far presa, i suoi muscoli non predisposti allo scatto. Aiutiamolo a trovare il suo modo di salire in quota, o in alternativa il coraggio di restare al suolo, se la terra fosse l’elemento in cui può realizzarsi. Altrimenti saremo sempre gatti frustrati che provano a educare gabbiani infelici, forzati dentro stampi che non sono loro.
È una grande sfida, per la quale talvolta servono complici e alleati. Zorba sa di non poter sostenere da solo il volo della gabbianella. Chiederà una mano ad un poeta, come se, nel suo cuore di gatto, sapesse bene che un pizzico di poesia aiuta sempre a crescere e a far spiccare il volo.
Ringraziamo Kengah per la sua richiesta folle e difficile. Con essa tutti i giorni ci ricorda che chi sta accanto nella crescita deve aiutare il suo “piccolo” a diventare ciò che è e a trovare il proprio modo di volare.