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Dietro al piatto: lavorare con la famiglia - Studio di Psicologia e Psicoterapia Eidos

Dietro al piatto: lavorare con la famiglia

Ciascuno di noi è un’insalatona irripetibile

Considerata l’aria bollente di questo luglio assetato, rubo una metafora fresca tra le possibili provenienti dall’arte culinaria. Ciascuno di noi è come un’insalatona: legumi, cereali e verdure.
Farro perlato, pomodori e basilico, per esempio, oppure orzo, sedano e fave.
Siamo insalatone e, come tali, risultato di diversi ingredienti: couscous, riso, olio extravergine di oliva, piselli, un pizzico di sale, zucchine, fagioli cannellini, spezie, cetrioli, menta.
Gli ingredienti vengono da più parti: da nostra madre, da nostro padre, dai nonni, da noi stessi, dagli incontri che facciamo nella vita. Ogni piatto è diverso dall’altro.
Anche se preparate seguendo alla lettera una stessa ricetta, un giorno e il giorno dopo (o addirittura, con maestria, nello stesso momento!), le due insalatone di uno stesso cuoco non sarebbero identiche. Credo proprio che il sapore della pietanza abbia a che fare anche con il piatto (o la ciotola o la scodella) che la contiene; e con la posata con cui la portiamo alla bocca.

Dalle insalatone ai pasticcini

Nel libro di Mélanie Florian, “Mi nascondete qualcosa”, Susi spiega: “Ho cinque anni e sono un pasticcino fatto di tante piccole briciole. Una briciola della mia mamma e una del mio papà, ben mescolate insieme tra loro. È la nonna che me lo ha raccontato. Una briciola me l’ha data pure la nonna e una anche il nonno. Come un puzzle…
Non so, però, a chi appartenga ogni briciola… Ci ho pensato molto e ho fatto delle ricerche, ma non ne sono ancora sicura.”

Ingredienti scomodi

A volte c’è qualcosa (nell’insalatona o nel pasticcino) che ci può dare fastidio. Per la consistenza, per il sapore. È davvero irritante: può guastare addirittura il piacere del pasto.
Potrebbe trattarsi, ahimè, di un pezzettino di cibo scivolato nel nostro piatto addirittura senza che il cuoco se ne sia accorto! Come dire? Un ingrediente non contemplato, mettiamola così! Un po’ di fragola sul porzionatore con cui stiamo sollevando una pallina di gelato al caffè; o qualche granello di sale rimasto appiccicato tra i rebbi della forchetta che useremo per il tiramisù: cose così.
Più frequentemente, però, l’errore sta nella cottura non ottimale di un ingrediente.

Per godere del pasto

Fortunati quei bambini che hanno genitori capaci di riconoscere ciò che di loro è scivolato malamente nel piatto del figlio! Capaci di individuare l’ingrediente mezzo crudo nella pietanza del bambino e di lavorarci un po’ prima di rimetterlo a tavola! E complimenti a quegli adulti in grado di compiere quest’analisi da soli: di individuare l’ingrediente fuori posto o cotto male, di comprendere il processo che l’ha portato lì, dentro al piatto, in quel modo, e di ricollocarlo al suo posto, fuori dal piatto oppure dentro al piatto ma in un modo diverso.
Così facendo, quel bambino e quell’adulto potranno godere più liberamente del proprio pasto: potranno godere più liberamente di ciò che essi sono.

Dalla tavola alla psiche

Invece di pensare ad un bambino o ad un adulto tutto ripiegato su di sé, anche sulle proprie personali fatiche, è utile ricordarsi che l’individuo è un essere sociale il cui comportamento è comprensibile solo se letto nel contesto del sistema di relazioni in cui è inserito. 
È bene quindi allargare lo sguardo dal piatto (bambino o adulto che sia) alla tavola e alla cucina, ovvero alla famiglia d’origine, che si trova insieme al bambino qui e adesso o che comunque ogni adulto porta dentro di sé in termini di rappresentazioni. Ogni persona infatti è dentro ad una storia e può capitare che alcune parti della storia non siano state digerite bene e, senza intenzione né consapevolezza, siano state depositate indigeste nei piatti dei figli. È normale, accade. 
Che meraviglia, però, quando dei genitori prendono in mano queste parti un po’ crude e le rielaborano per il loro bambino o quando un adulto riesce, rileggendo la propria storia, a cuocere meglio gli ingredienti, a renderli più digeribili.
Anche questo è psicoterapia e a noi terapeuti quindi, qualche volta, sembra d’essere in cucina!

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